Microbiota e rischio cardiovascolare, ruolo degli SCFA

In un precedente post ho presentato una panoramica sul ruolo del microbiota intestinale come modulatore del rischio cardiovascolare.

La regolazione del grado di infiammazione sembra essere il meccanismo chiave alla base di questa relazione. In particolare, squilibri della composizione e della funzione del microbiota a livello intestinale ma anche a livello orale possono generare o alimentare uno stato infiammatorio cronico di basso grado che favorisce la formazione delle placche aterosclerotiche. L’analisi del microbiota intestinale di pazienti con patologia cardiovascolare e il confronto con controlli sani ha mostrato una riduzione della popolazione di Bacteroidetes e di batteri produttori di SCFA come Roseburia intestinalis e Faecalibacterium prausnitzii. Proliferano invece batteri appartenenti alla famiglia degli Enterobacteriaceae spesso associati alla disbiosi. Si tratta di dati "osservazionali", che notano la presenza di anomalie in pazienti affetti da alcune patologie, ma non analizzano la relazione causa-effetto tra disbiosi e patologia.

Tra le molecole più studiate che sembrano rivestire un ruolo importante per il funzionamento dell’asse intestino-cuore-cervello ci sono gli acidi grassi a catena corta (SCFA Short Chain Fatty Acids). Sono prodotti da alcuni batteri intestinali a partire dalla fermentazione anaerobica delle fibre. I più comuni sono acetato, butirrato e propionato. Queste molecole, oltre a nutrire le cellule della parete intestinale, entrano in circolazione e partecipano al metabolismo dei grassi, al controllo della glicemia e alla modulazione dell’infiammazione. Dati sempre più numerosi dimostrano che propionato e butirrato possono ridurre la pressione arteriosa, migliorare la risposta al danno ischemico cardiaco e ridurre la formazione di placche a livello delle coronarie.

Nel modello animale bassi livelli di SCFA o di batteri che li producono correlano con la rigidità delle arterie, l’ipertensione arteriosa e il danno d’organo ad essa correlato. Somministrare butirrato o colonizzare l’intestino di topi germ-free con ceppi produttori di SCFA riduce l’aterosclerosi e il grado di infiammazione. E’ significativo che questo tipo di intervento non modifica i livelli di colesterolo; il butterato agirebbe contribuendo a mantenere integra la barriera intestinale, che quindi lascerebbe passare nella circolazione una minore quantità di sostanze dannose e infiammatorie come il LPS (lipopolisaccaride). I pochi studi effettuati sull’uomo confermano una riduzione della produzione di citochine infiammatorie in risposta ad aumentati livelli di butirrato.

Quindi curare la salute del microbiota intestinale riduce il rischio cardiovascolare? E’ probabile che l’intervento attraverso alimentazione, stile di vita e integrazione mirata possa essere un valido aiuto nella prevenzione delle patologie cardiovascolari. Di certo individuare e trattare la disbiosi dovrebbe essere un obiettivo da perseguire fin dalle valutazioni mirate alla prevenzione cardiovascolare. L’assunzione di probiotici e postbiotici è efficace per limitare la progressione dell’aterosclerosi? Allo stato attuale non è possibile affermarlo, ma si tratta di un campo di ricerca estremamente interessante.

FONTI BIBLIOGRAFICHE:

A novel SCFA receptor, the microbiota, and blood pressure regulation. Gut Microbes 2013;5:202

Short-chain fatty acid metabolism and multiple effects on cardiovascular diseases. Ageing Res Rev. 2022;81:101706

Herrema H et al Microbiome and Cardiovascular Disease. 2020 Mar 18. In: von Eckardstein A, Binder CJ, editors. Prevention and Treatment of Atherosclerosis: Improving State-of-the-Art Management and Search for Novel Targets [Internet]. Cham (CH): Springer; 2022

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